NISE, "work-shop" 2009 - 2019

FERRARI 312 P CODA LUNGA,

Equipaggio Jacky ICKS– Brian REDMAN

Primi assoluti 1000 km di MONZA, Aprile 1973

Mondiale marche prove di durata

Elaborazione modello di produzione per edicole, scala 1/43

Maggio 2014 - Settembre 2019

 

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Il direttore sportivo Matra a fine gara si reca dall’ing. Colombo (Ferrari) per fargli omaggio di uno dei pezzi meccanici che hanno causato la fermata di Cervert (Autosprint n.18 1973).

 

 

 

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Sono qui pubblicati a solo titolo di informazione non costituendo profitto di sorta in tale contesto.

La 3000 con solo 440 cavalli alla 1000 km di Monza

 Se la terza prova del Mondiale marche prove di durata del 1973 aveva visto, alla 1000 km DIGIONE, la vittoria schiacciante delle MATRA 670, al quarto evento di campionato, la 1000 km di MONZA, furono le FERRARI 312P a dominare con una doppietta spettacolare fino all’ultimo metro di gara dove al traguardo arrivarono appaiate la vettura di ICKS – REDMAN e pochi centimetri dopo quella di REUTMANN – SHENKEN.

 Ma riavvolgiamo il nastro della Storia. E Andiamo al 1971.

 

Con questa immagine spettacolare dell’arrivo delle due Ferrari 312 P al traguardo, Autosprint n.18 del 1973 apriva un articolo dedicato alla 1000km di Monza.

 

Un po’ di Storia e un po’ di tecnica…

 Il primo prototipo della 312P fu testato presso l’autodromo di MODENA nel 1971; il collaudo si svolse utilizzando temporaneamente una carrozzeria in alluminio priva di verniciatura al fine di effettuare eventuali modifiche aerodinamiche sul posto. Quella finale fu poi realizzata in fibra di vetro i due parti distinte.

 L’appena concepita 312P doveva essere codificata progettualmente con la sigla 312PB dove per la B stava motore Boxer. Il prototipo, invece, è sempre stato codificato come 312P, una sigla guarda caso identica a quella del prototipo del 1969 dotato di motore 12V.

 Il segreto della macchina era da ricercare certamente nel motore Boxer 12 cilindri piatto, con doppio albero a camme in testa per ogni bancata, quattro valvole per cilindro, bielle in titanio e con i collettori di aspirazione posti tra i due alberi a camme e quelli di scarico situati nella parte inferiore. Nacque dalla versione per la Formula 1, rispetto alla quale fu adottata per l’endurance una diversa fasatura della distribuzione, la potenza era di circa 440 CV a 10800 giri/min.

 Il telaio della 312P era una mono-scocca FERRARI, con una struttura tubolare rivestita con pannelli in alluminio. Dietro l’abitacolo, il propulsore era rigidamente ancorato a un apposito traliccio. I radiatori dell’acqua erano posti lateralmente all’abitacolo, mentre la forma del davanti della scocca costituiva un vero e proprio corpo aerodinamico per generare la necessaria deportanza all’avantreno e per eleminare un fastidioso sottosterzo che solo nel ’73 fu risolto parzialmente.

 L’auto era l’evidenza e la “meccanica” testimonianza della lunghissima esperienza della Casa di MARANELLO nelle gare di durata.

 L’anteriore aveva sospensioni costituite da doppi triangoli oscillanti. Piuttosto convenzionali i gruppi molla-ammortizzatore montati sulle ruote. Il retrotreno derivava da quello della Formula 1. Le ruote anteriori erano delle 13’’ x 10”, quelle posteriori delle 15’’ X 15,5’’. La FERRARI mantenne le originali sospensioni posteriori fino all’ultima prova mondiale di WATKINS GLEN, dove furono schierate due vetture modificate con dei bracci inferiori paralleli in luogo dei triangoli, una soluzione adottata per ridurre l’effetto autosterzante del retrotreno.

 

I tre tipi di code testate dalla Ferrari a Monza prima della gara (Autosprint n.17 del 1973).

 

 La carrozzeria, dicevamo, era composta da due parti principali in fibra di vetro, l’anteriore inglobava anche i piccoli sportelli di accesso all’abitacolo.

 Furono studiati tre tipi di coda: uno corto per i circuiti più lenti, uno intermedio, che fu quello usato con maggiore frequenza, e uno lungo impiegato soltanto nelle prove preliminari della 24 ORE DI LE MANS del 1972, gara alla quale la FERRARI decise poi di non partecipare facilitando notevolmente l’affermazione della MATRA-SIMCA. La versione intermedia rispetto alla corta portava un aumento di peso di circa 7 kg. ma rendeva una velocità massima superiore di 5-8 km. Il peso complessivo della 3I2P mediamente era tra i 655 e i 670 kg.

 Tutte e otto le vetture realizzate furono impiegate durante la mitica stagione ‘72, auto talmente ben preparate che i piloti trovavano estremamente difficile distinguere nella guida un esemplare dall’altro. Nonostante i numerosi incidenti occorsi durante l’anno, nessun telaio fu mai irrimediabilmente distrutto.

 Nonostante la favolosa stagione, ricca di vittorie, la Scuderia FERRARI annunciò comunque il suo ritiro dalle gare di questa categoria a causa dei costi eccessivamente onerosi.

 Enzo FERRARI, che con il suo immancabile sagace umorismo definì la 312P una “monoposto matrimoniale’, diede il suo ok per mettere in pista la vettura già nella stagione 1971. Al fine di concentrare gli sforzi massimi verso la nuova 3 litri, le 512M furono affidate alle scuderie private quindi segno evidente delle volontà ufficiali della scuderia modenese.

 Il battesimo del fuoco, purtroppo non vi è metafora più vera, fu alla 1000 km di BUENOS AIRES del ‘71, dove l’equipaggio formato da Ignazio GIUNTI e Arturo MERZARIO riuscì a qualificarsi in prima fila con soli 4 centesimi di ritardo sulla più veloce delle PORSCHE 917, dando poi in gara molto filo da torcere a tutte le Sport cinque litri. GIUNTI fu in testa per cinque giri ed era ancora in lizza per il primo posto quando sulla sua traiettoria trovò, dietro una curva di fatto cieca, una MATRA mentre il suo pilota BELTOISE, rimasto senza benzina, stava malauguratamente spingendo verso i box occupando di fatto la pista in quasi tutta la sua larghezza. L’impatto con la parte posteriore della vettura francese fu inevitabile e la 312P esplose in una vampata di fuoco. Lo sfortunato pilota romano morì sul colpo.

 La FERRARI 312P aveva partecipato a 7 delle 8 prove del Campionato Mondiale Marche 1971 cui aveva preso parte ma, per sei volte, dovette ritirarsi. Il miglior risultato rimase il 2° posto di BRANDS HATCH.

 Nonostante un anno iniziale macchiato da un grave lutto e da ritiri a non finire, per il 1972 altri 6 esemplari videro la luce a ragione della volontà FERRARI di portare avanti il progetto. Ad incentivare le volontà di vittoria, furono ingaggiati piloti di prim’ordine come ICKX, REGAZZONI, ANDRETTI, PETERSON e SCHENKEN. A MERZARIO fu affidato il compito di sostituire ANDRETTI quando questi fosse stato impegnato nelle prove USAC. La FERRARI ingaggiò, per la TARGA FLORIO, persino il pilota dei rally Sandro MUNARI.

 Un anno favoloso a livello agonistico dove tutto andò per il meglio. Il risultato fu che la 312P vinse dieci delle dieci gare che disputò.

 Nel 1973 FERRARI dichiarò che non ci sarebbe stata continuità agonistica per la 312P visti gli altri costi che comportava.

 

Un momento concitato della gara con il cambio di guida tra Redman e Icks (gtxforum.net).

 

 Col passare delle settimane si parlò, invece, dapprima di una sola vettura schierata per la stagione 1973 pilotata da ICKX limitatamente ad alcune selezionate gare, per poi arrivare a un impegno maggiore con una squadra di due vetture in tutte le prove del Campionato Mondiale Marche. ICKX, REDMAN, MERZARIO, PACE furono prescelti quali piloti ufficiali, mentre in alcune occasioni nelle quali venne utilizzata una terza macchina vennero chiamati SCHENKEN e REUTEMANN. Unicamente per la TARGA FLORIO fece parte della squadra anche “il preside volante” Nino VACCARELLA.

 Nel 1973 le cose cambiarono radicalmente. La MATRA-SIMCA, dopo il lungamente atteso successo a LE MANS, era oramai lanciata verso la vittoria del Campionato Mondiale Marche. Intanto, la direzione sportiva della scuderia FERRARI passò sotto Giacomo CALIRI mentre Mauro FORGHIERI, fu trasferito alla parte Formula 1. Non poco importante fu il passaggio gomme dalla FIRESTONE a GOODYEAR e tale cambio non fu indolore e irto di ostacoli.

 Le 312 P nella versione 1973 avevano un muso più lungo, così come era aumentato il passo alla ricerca di una maggiore stabilità. Il motore subì modifiche che ne aumentarono la potenza portandola tra i 450-460 CV a 11000 giri/min.

 

La Ferrari di Icks-Redman anticipa alla parabolica la Matra di Cervert-Beltoise (Autosprint n.18 1973).

 

 La vittoria non fu scontata fin dall’inizio, dove il team FERRARI aveva lavorato su ogni più piccolo dettaglio pur di strappare velocità (tre tipi di cofano posteriore furono testati durante le prove) e chili di troppo (più vetroresina che si poteva fu usata tra carrozzeria e parti varie).

 Le cronache raccontano che la sconfitta delle MATRA fu legata ai perni delle ruote che in gara si ruppero con una facilità da far supporre che la FERRARI avesse messo in atto un vero e proprio sortilegio.

 Il merito della vittoria FERRARI fu sì merito invece della vettura e dei piloti ma anche legato ai rifornimenti e cambi gomme, rapidi molto più di quelli avversari.

 In avverso, i secondi guadagnati durante i cambi furono spesso persi da una guida troppo scrupolosa dei piloti REDMAN e SHENKEN.

 Per il terzo equipaggio FERRARI, Arturo MERZARIO e Carlos PACE, la corsa durò solo una quarantina di chilometri prima di ritrovarsi a bordo pista con il cambio distrutto.

 Come ebbe a scrivere Enrico BENZIG su AUTOSPRINT, FERRARI aveva convenuto che per battagliare nel mondiale prototipi occorrevano motori di Formula 1, proprio come il 12 cilindri boxer, pesi estremamente contenuti il tutto però su meccaniche consolidate. E MONZA ne fu la dimostrazione.

 La MATRA (Francois CERVERT - Jean-Pierre BELTOISE e Henri PESCAROLO e Gérard LARROUSSE) con due vetture ufficiali, invece, puntò su motori molto più potenti ma meno affidabili, a cui in alcune gare si sommarono rotture meccaniche generate dalle alte potenze in gioco.

 CERVERT della MATRA aveva infatti dominato la corsa, permettendosi nei confronti dei piloti FERRARI di dare manciate di secondi. Giusto rendere merito al pilota francese e alla sua vettura che simbolicamente furono i vincitori della gara. Ma qualcosa andò storto…

 

La Matra di Cervert-Beltoise (Autosprint n.18 1973).

 

 Al via scattarono in modo felino le due vetture dì testa, la FERRARI di ICKX e la MATRA guidata da BELTOISE, mentre dalla terza fila un intrepido MERZARIO si piazzò davanti a PESCAROLO che guidava la seconda vettura francese.

 La differenza dei consumi si fece sentire già al primo rifornimento per la MATRA, mentre la FERRARI di ICKS si poté permettere sette giri in più e che la portano in testa alla corsa.

 La gara era quanto mai aperta ma al 133° giro, dopo una sosta ai box, CEVERT rientrò segnalando un problema su una ruota posteriore, ripartì ma il cambio andò in tilt. La folla (35.000 spettatori paganti) fu presa da un urlo di gioia a fronte della defiance francese.

 Fortuna o meno, i due equipaggi francesi diedero dimostrazione di grandi capacità di guida mettendo in evidenza che oltre a dover battere le MATRA si doveva fare i conti lungo tutto il campionato con quattro piloti di prima scelta.

 ICKX fu, insieme a CERVERT, uno dei protagonisti di quella domenica. Guidò per tre quarti della gara per recuperare i distacchi che REDMAN si prendeva ad ogni su uscita in pista. Quella vittoria fu commentata così da ICKS:

 

«Non vorrei che con questa vittoria ci facessimo troppe illusioni. La tenuta di strada della nostra macchina è ancora inferiore a quella della Matra 670. Dobbiamo lavorare molto. Oggi la situazione si è evoluta in nostro favore e la 312P ha funzionato benissimo».

 

 Il mondiale del 1973 fu vinto da MATRA con 124 punti e seconda FERRARI con 115 punti mentre distanziata a 84 punti la PORSCHE.

 La gara di MONZA mise in evidenza il rapporto sempre più significativo tra potenze dei motori e aerodinamiche delle vetture e quindi il problema di un lievitare dei costi legati alla ricerca di motori e carrozzerie performanti.

 Già nel 1973 sia FERRARI sia MATRA potevano contare su potenze tali da raggiungere velocità comprese tra i 320 e i 330 km/h ma, tali potenze, non furono mai messe in gioco perché le vetture, pur se con aerodinamiche già elaborate per quel tempo, non avrebbero potuto affrontare le curve e le varianti senza rischiare di non tenere e di finire in sbandate se non in fuori pista.

 Così a MONZA si giocò non sulla linearità aerodinamica, che avrebbe favorito velocità come quelle prima indicate, quindi sul carico portante degli assi al fine di ottenere velocità intorno ai 300 – 310 km/h.

 E questa che Vi ho raccontato è una delle storie più belle per chi ama le vetture prototipo del Cavallino modenese.

 

Icks-Redman al momento della premiazione (Autosprint n.18 1973).

 

Merzario si presentò a Monza a bordo di questa “elaborata” Fiat 125 (Autosprint n.18 1973).

 

Il modello

 Questo modello, rispetto alla versione classificata come 312PB e uscita per la medesima collezione (312PB versione LE MANS del 1973), ha purtroppo diversi difetti e fa male al cuore perché sarebbe bastato poco per evitarli.

 La verniciatura nell’insieme è accettabile, io però mi sono preso la briga di lucidare la scocca con tanta pazienza. Per ottenere dei buoni risultati utilizzo del cotone, dei panni per la pulizia delle lenti e delle creme siliconiche utilizzate per la rigenerazione delle plastiche per auto.

 Consiglio di fare attenzione a non passare cotone e panno sopra le decal perché si rischia di rovinarle e alla meglio di farle diventare estremamente lucide.

 Le decal sono posizionate bene e non ho dovuto, per fortuna, sostituirle con altre.

 La prima parte da modificare è il pianale.

 Gli scarichi hanno in bella evidenza la linea di stampo, l’ho asportata con un cutter e poi li ho ridipinti con del bianco opaco. L’interno l’ho sfumato con del colore ad olio nero.

 Il pianale è in plastica e ha stampata la dicitura “P312PB”, io l’ho rimossa mentre ne approfittavo per lisciare il fondo. Dietro, nella parte di attacco di ogni ruota, vi sono delle pronunciate linee di stampo, meglio asportarle utilizzando un cutter a lama tonda.

 Le gomme le ho raspate in profondità. È un lavoro che va fatto a mano e sconsiglio di montarle su un trapano e, a basse come alte velocità, tentare di raschiare via la linea centrale di stampo e la lucidatura da vulcanizzazione.

 Gli interni non sono difficili da elaborare ma richiedono solo tanta precisione visto che le dimensioni sono estremamente ridotte.

 L’estintore fisso l’ho auto costruito date le ridotte dimensioni, li auto costruisco perché faccio sempre fatica a rifinire quelli di produzione senza combinare di rovinarli pulendoli troppo e quindi deformandoli.

 Il cruscotto è abbastanza preciso e di buona fattura, ho solo aggiunto alcuni pulsanti che erano posti alla sinistra del pilota.

 Le cinture di sicurezza non sono difficili da realizzare ma, rispetto al modello di 312PB precedentemente realizzato, ho deciso di creare le feritoie attraverso le quali passavano le cinture giro vita del pilota.

 I fanali interni sono gli originali, mentre sulle parabole ho attaccato delle repliche delle viti che le tenevano fissate alla carrozzeria. Queste “viti” sono ricavate dal solito lamierino punzonato con tondino di acciaio da 1 mm.

 Con il medesimo sistema, cioè lamierino e tondino in acciaio, ho realizzato i bottoni in acciaio che tenevano la tela del sedile fissata al telaio.

 Le viti di fissaggio dell’alettone posteriore le ho realizzate utilizzando una punta di trapano da 0,8 mm. Trucco semplice per creare l’effetto delle viti dalla testa molto piccola.

 Ultimo dettaglio, lo stelo dello specchietto retrovisore esterno l’ho dipinto di rosso, quello originale era di tale colore e non nero come replicato sul modello.

 Una lucidata finale, ed ecco il modello pronto per il set fotografico.

 Detto tra noi, il modello lo possiamo modificare ancor di più e alla fine non è poi così male; almeno, di certo meglio del modello come era venduto.

 

 

Riferimenti documentali

www.targaflorio-1906-1977.it

https://v8blog1973.wordpress.com/tag/monza-1000-km/

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