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NISE, Federico Cavann@ in Genova "work-shop"
2014 Capitano Robert WALKER, 116° Reggimento –
29a Divisione di Fanteria D-DAY - Lo sbarco a OMAHA BEACH, NORMANDIA
1944 Marzo 2014. |
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Due film importanti sul D-DAY Il primo è il celeberrimo “Il giorno più
lungo” del 1962. La pellicola vide impegnati cinque registi e uno stuolo di
attori al tempo famosi (John Wayne, Robert Mitchum, Henry Fonda tra quelli
più noti). La sceneggiatura si basava sul testo omonimo di C. Ryan (il titolo
del libro era tratto da una frase pronunciata dal maresciallo ROMMEL nel 44).
Un film molto descrittivo e di genere ma non per questo noioso e privo di
spunti per riproduzioni modellistiche. Nota curiosa: tra gli attori secondari
vi troverete un giovane, quanto ancora acerbo e privo di stile bondiano, Sean
Connery. Il secondo è “Salvate il soldato
Ryan” del 1998, opera completa del regista Steven Spielberg ed è basato su
una sceneggiatura che prende solo spunto da un fatto realmente accaduto (quattro
fratelli, il cui cognome era Niland, tre di loro combatterono in Europa e uno
nel Pacifico; due di loro rimasero uccisi nel teatro di guerra europeo). Il
film contiene i 24 minuti di
combattimenti considerati i migliori della storia del cinema di genere
bellico. Solo quello spezzone di film costò 12 milioni di dollari di allora e
l’impiego di oltre 1500 comparse. A differenza di quanto si crede, le scene
dei soldati mutilati durante lo sbarco,dai proiettili e dalle bombe tedesche,
furono girate con l’impiego di diverse decine di attori con amputazioni vere
e non create digitalmente. Snobbati da molti I figurini di soldati americani, in
scala 50 e 54 millimetri, sono stati per lungo tempo snobbati da scultori e
pittori di fama mondiale. Solo con l’ingresso sul mercato di aziende
statunitensi i soggetti americani hanno iniziato (faticosamente) a prendersi
la loro parte da protagonisti. Oltre alla New World Miniatures, vale la pena
menzionare le case americane come Warriors, Alpine e Michael Roberts. Tra gli scultori e i pittori che
hanno dato lustro alle uniformi USA, vi troviamo Julian Hullis, Raul Garcia
Latorre, Adrian Bay e Randal Patton. Gli
speciali di NISE Altri
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2°conflitto mondiale |
Il capitano Robert WALKER in scala 1/35 Oggi la produzione di figurini, utilizzabili
per ricreare in scala l’Esercito americano, è quanto mai ricca. Anni fa la maggior
parte dei pezzi, relativi alla Seconda Guerra Mondiale, raffigurava soldati
tedeschi; non c’era molta scelta, invece, tra i pezzi che raffigurassero i
G.I. La scatola TAMIYA della fanteria USA era praticamente, fino ai primi
anni 90, uno dei pochi pezzi conosciuti. Oggi, per fortuna, le aziende si sono date
un gran da fare, specie quelle americane, per offrire una vasta gamma di
uniformi americane che permettono poi di replicarle in quasi tutte le
varianti comprese tra il 1940 e il 1945. Questo figurino era in origine un ufficiale
dei carristi, con piccole modifiche l’ho elaborato per ottenere un ufficiale,
ma di fanteria, realmente esistito. Si trattava del capitano Robert WALKER, appartenuto al 116° Reggimento di fanteria (29a Divisione) e che partecipò allo
sbarco in NORMANDIA il sei giugno 1944 (OMAHA
Beach, settore WHITE DOG). L’elaborazione mi ha permesso di “vestirlo”
con un’uniforme particolare e che di seguito illustrerò nel suo insieme. In genere la fanteria indossava la giubba
M1941 (Field Jacket M1941, o denominata
Parson’s Jacket), abbottonabile al centro e con un colletto con risvolti. La giacca M1941 si dimostrò poco pratica per
gli equipaggi dei mezzi corazzati e comunque poco efficace contro il vento e
la pioggia. In seguito fu realizzata una versione più
sportiva della giacca di fanteria, che nel frattempo ebbe diverse versioni;
il risultato della trasformazione fu un giubbotto dal taglio molto semplice e
corto, con cerniera al centro e parte elasticizzata in vita, ai polsi e al colletto.
Il nome del modello ufficialmente era “Jacket Combat Winter” o più
comunemente “Tanker Jacket”. Era in cotone con un rivestimento interno di
lana, la zip permetteva di chiuderla e aprirla più velocemente rispetto al
modello con bottoni, la parte in vita così come i polsini e il colletto erano
realizzati in cotone con un’anima elasticizzata. I colori potevano essere
kaki tendente al color senape oppure nel classico verde noto ai più come
“Olive Drab”. Sin dalla campagna in Italia, nel 1943, la Tanker
Jacket raccolse pareri favorevoli e gran parte degli ufficiali preferivano
indossarla al posto delle classiche giubbe o dei vetusti cappotti. I pantaloni della fanteria erano in cotone
(versione estiva, lana o fustagno per l’invernale), i colori variavano dal
marrone scuro al verde oliva bruciato. Il prodotto della NEW WORLD MINIATURES, da
me acquistato, aveva un difetto non da poco: la gamba sinistra era più lunga
rispetto all’altra (circa 3 millimetri)
e lo stesso piede sinistro era piegato in modo innaturale verso l’interno. Decisi quindi di modificarlo per ottenere un
ufficiale di fanteria, in questo modo avrei eliminato la parte in eccesso
della gamba e avrei potuto sostituire gli stivali con degli scarponcini con
la ghetta. Nelle foto scattate alle truppe di fanteria,
sbarcate in NORMANDIA, si nota infatti che quasi tutti, ufficiali compresi,
indossavano gli scarponcini con ghette; lo stivale anfibio, con stringhe e
fibbie ai lati della caviglia, era in uso alle sole forze aviotrasportate e a
qualche ufficiale dei reparti di artiglieria. Asportati gli originali, i nuovi
scarponcini, e relative ghette, li ho prelevati da un figurino DRAGON. Al mio capitano ho fatto indossare un
giubbotto da carrista, del tipo sopra descritto, un cinturone con pistola e
piccola tasca ausiliaria, elmetto con rete per il mimetismo. Al posto della
mitraglietta M3A1 calibro 45 (nota
anche come “Grease Gun”) ho preferito aggiungere un fucile GARAND (produzione TAMIYA), perché la
mitraglietta era posizionata proprio in corrispondenza della pistola di
ordinanza M1911A1 (COLT calibro 45
semiautomatica) coprendo proprio un dettaglio di ottima fattura. I pantaloni sono quelli della tuta da
carrista, quindi molto ampi rispetto a quelli di fanteria. Utilizzando delle
lime e carta smeriglia ne ho ridotto i volumi delle singole pieghe. Le braccia erano di buona qualità e con
delle pieghe non troppo accentuate, quindi mi sono risparmiato del lavoro di
modifica. Alle mani, il soggetto di partenza, aveva dei guanti invernali.
Anche questi li ho ridotti di dimensioni per farli sembrare, a pittura
terminata, dei guanti in pelle da lavoro; i guanti di questo materiale erano
in dotazione alle truppe motorizzate ma ne vennero distribuiti anche alla
fanteria con lo scopo di agevolare il lavoro di rimozione del filo spinato
che avrebbe trovato prima delle fortificazioni costiere. Dopo la modifica delle gambe e degli
scarponcini, ho incollato il braccio sinistro e preparato a parte il braccio
destro che ho montato a colorazione quasi terminata. Anche la testa era parte
del soggetto ma l’ho modificata nei lineamenti e in particolare gli zigomi e
le guance. Il figurino l’ho dipinto partendo dalle
ghette e dalle calzature. I pantaloni li ho dipinti dopo, di modo che il
colore marrone coprisse quello kaki delle ghette e rendesse l’idea del
tessuto che copre la ghetta e non viceversa. Per il colore dei pantaloni non
saprei identificare in modo preciso una mescola base. Credo che stia al gusto
di ognuno di noi, alla nostra percezione di sfumature che ne conseguono
usando magari del marrone di un tipo mescolato con del nero oppure con del
verde. Io utilizzo un marrone neutro a cui aggiungo
del nero. Stendo una prima base, alla stessa mescola aggiungo del verde
smeraldo in una simbolica quantità. Le mescole successive le schiarisco con
del rosso e del carne medio. La Tanker Jacket è un capo di abbigliamento
ancora più complesso, come tonalità, rispetto ai pantaloni. Per quanto abbia
avuto occasione di vedere, dal vero come nelle pubblicazioni specializzate,
non ho mai trovato due TJ con la stessa tonalità. Del resto non vi era,
allora, una sola azienda che produceva questo capo. Ogni azienda puntava a
produrre in grandi quantità, certo nel rispetto degli standard dell’Esercito
americano ma utilizzando materie prime di varia origine. Inoltre era la
stessa azienda che utilizzava lotti di tessuto con variazioni di tonalità
spesso significative. Credo che sbaglino coloro che, a loro volta,
indicano come sbagliate determinate tonalità usate da altri modellisti (alle volte, i grandi del pennello, peccano
di presunzione, anteponendo il loro talento pittorico alla storia di
un’uniforme e alle sue possibili e molteplici varianti cromatiche). Consiglio
il vecchio metodo VERLINDEN: trovate una pubblicazione a colori degna di
attendibilità uniformologica, realizzate una mescola simile a quella della
giacca presente nelle foto e da quella ricavate tutte le variazioni di ombre
e luci che vi servono (facendo riferimento alle foto), non cambiate quella
tonalità per nulla al mondo se no il risultato finale sarà qualcosa che nemmeno
voi capirete cosa in realtà rappresenta. Se posso dare una mia indicazione, per
dipingere una TJ del tipo prodotto alla fine della guerra, una possibile
mescola può essere composta al 80% da un verde oliva bruciato + 10% nero +
10% grigio ferro. La mescola in questione va schiarita con del giallo sabbia
oppure con del colore carne medio. Io, con le ultime pennellate, realizzo delle
sfumature a base di bianco uovo senza esagerare se no il tessuto sembra
consumato, mentre le uniformi nel D-DAY erano ancora nuove e poco usurate. Nelle foto d’epoca le giacche e i giubbotti
appaiono molto lisi; in realtà era l’effetto che ne scaturiva quando,
asciugando dall’acqua di mare, rimaneva una sottile patina di sale sul
tessuto. I più abili tra voi si potranno sbizzarrire cercando la mescola
giusta che dia quell’effetto i grigio bianco sopra ogni piega. Il resto della
colorazione non ha nulla di particolare; ho cercato, per questo soggetto, di
non usare colori tipo FLUO e di realizzare le finiture, di molte parti, con
dei vecchi e cari colori a olio. Immagini, nomi di prodotti, marchi, sono: tutelati dai
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Bibliografia |
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